Il clima futuro

 

 

Temperatura

 

L'aumento termico globale si ripercuote anche sull'intera regione con variazioni previste della temperatura molto simili su ampie aree. Ciò significa che le temperature nella regione di indagine tenderanno quasi uniformemente a crescere, prima lentamente, di circa 1,5°C rispetto al livello odierno, fino al periodo compreso fra il 2026 e il 2055, e poi di circa 3,8°C fino alla fine del secolo. Le variazioni termiche previste per la regione si muovono dunque in un quadro analogo a quello previsto per la temperatura media globale. A seconda dei diversi scenari di emissione, stando alle valutazioni IPCC (AR5 2013) è da ipotizzare a livello globale un aumento della temperatura da 1 a 2 °C entro la metà del secolo e di 1,5 – 4°C per la fine del secolo. In base allo scenario realistico A1B considerato nel modello le variazioni a livello regionale rientrano dunque nella fascia più alta della banda contemplata.

 

La previsione si spiega con le maggiori variazioni termiche che interessano le superfici terrestri rispetto a quelle oceaniche che confluiscono nel calcolo della temperatura media globale. Nel Rapporto austriaco 2014 di valutazione dei cambiamenti climatici (APCC 2014) si postula una variazione termica di 1,7°C entro metà del secolo, anche se in relazione al periodo di riferimento 1961-1990. Le proiezioni per la regione, pertanto, sono da considerarsi plausibili e rientrano nell'ambito dei tassi di variazione previsti in altri studi.

I trend simulati di variazione termica sono essenzialmente simili a quanto già noto con l'analisi dei dati delle osservazioni (cfr. Böhm 2012). A causa della non-linearità e della variabilità interna del sistema climatico, ossia delle variazioni non riconducibili a processi naturali o all'influsso umano, si producono fasi di più intenso riscaldamento alternate a periodi di minore incremento della temperatura. La tendenza generale verso l'alto rimane comunque invariata in virtù delle crescenti concentrazioni di gas ad effetto serra.

 

L'aumento delle temperature è alla base di tutte le modifiche che interessano il sistema climatico con conseguenze di ampia portata, come quelle che derivano dallo spostamento verso l'alto del limite delle nevicate (Böhm 2008, Gobiet et al. 2013) o da un prolungamento del periodo vegetativo (Menzel et al. 2006). Quest'ultimo significa teoricamente che nei prossimi decenni il limite del bosco tenderà a spostarsi lentamente verso l'alto, con un infittimento della vegetazione arborea e un'anticipazione della fioritura. Sulle Alpi, però, il limite del bosco è fortemente condizionato dall'azione dell'Uomo e in misura minore dal clima (Grace et al. 2002), facendo dunque delle variazioni climatiche un motivo non sufficiente, da solo, a determinare questi cambiamenti. Per la fauna queste modifiche degli habitat non implicano necessariamente un peggioramento. Le condizioni di vita degli animali potrebbero addirittura migliorare, grazie al prolungamento dei periodi di nidificazione o alla riduzione delle morti per fame in inverno (Dunn e Winkler 2010). D'altro canto, il cambiamento climatico potrebbe variamente influire su certe interazioni, come quelle fra piante e impollinatori (Hegland et al. 2009).

 

L’aumento della temperatura comporta fra l'altro il disgelo del permafrost in alta montagna, ossia del suolo costantemente gelato. Con il riscaldamento del terreno può prodursi un aumento dei processi franosi e di caduta massi (Gruber et al. 2004), oltre a un incremento degli smottamenti e slittamenti, con pericolo di compromissione dell'infrastruttura alpina, come piloni delle funivie, recinzioni antivalanga o complessi stradali.

Anche il numero di giornate estive, ossia di quelle in cui la colonnina del mercurio arriva o supera la soglia dei 25°C, sarà in aumento. Fino al 2026 - 2055 l'incremento sarà ancora modesto (da 0 a +10 giorni), con un aumento che può arrivare ai 20 giorni nelle conche meridionali. Verso la fine del secolo, il numero di giornate estive aumenta invece nettamente, ancora una volta in modo più marcato nelle regioni prealpine meridionali, nella valle dell'Adige e nelle zone meridionali della provincia di Belluno. Qui l'aumento è di 50-60 giorni. Per effetto del livello generalmente più alto delle temperature in queste zone, anche la soglia dei 25°C sarà superata con una frequenza nettamente maggiore rispetto alle zone vallive del Tirolo settentrionale.

Come per le proiezioni sulla temperatura atmosferica, anche le previsioni relative al numero di giorni estivi sono da considerarsi “molto probabili”. Un incremento delle giornate estive si accompagnerà presumibilmente anche a un aumento delle isole di calore (Zuvela-Aloise 2013), un fenomeno destinato a essere maggiormente avvertito nelle zone a bassa quota e negli agglomerati urbani a sud della cresta alpina di confine. A quote medie, invece, le infrastrutture turistiche presenti potrebbero beneficiare delle più miti condizioni estive.

 

 

Precipitazioni

 

I calcoli di previsione delle modifiche delle precipitazioni nelle decadi a venire mostrano un forte grado di incertezza: a incidervi è, fra l'altro, la risoluzione ancora relativamente sommaria, abbinata alle caratteristiche topografiche dell'area alpina. Le proiezioni climatiche segnalano tendenze, ma tutte le conclusioni qui tratte sull'andamento delle precipitazioni vanno fatte rientrare nella categoria di “incertezza”.

 

La cumulata annua media dovrebbe tendere a ridursi, secondo il modello, nel corso del secolo. Dapprima in misura lieve, fino al periodo 2026 - 2055, e poi in maniera più marcata fino al 2071 - 2100. Per la fine di questo secolo scenderanno annualmente fra i 160 e i 180 mm di pioggia in meno, con cali lievemente più marcati a nord e sulla cresta alpina di confine.

In conseguenza delle più frequenti perturbazioni da ovest, le precipitazioni invernali tenderanno probabilmente a crescere in misura lieve, mentre le estati saranno più asciutte per la maggiore frequenza di situazioni di alta pressione (Haslinger et al. 2015). Nell'immediato futuro, l'aumento delle precipitazioni invernali è sufficiente a compensare la diminuzione delle precipitazioni estive solo in alcune zone delle Alpi centrali e del Tirolo settentrionale. Sul finire del secolo l'aumento delle precipitazioni invernali sarà quasi irrilevante e quindi non più in grado di compensare la tendenza alla diminuzione delle precipitazioni estive. Nel secondo periodo si osserverà pertanto una diminuzione generale. I risultati ottenuti per la regione risultano conformi a quelli previsti in altri lavori sull'andamento delle precipitazioni nell'arco alpino. Anche Rajczak et al. (2013) hanno per esempio segnalato un aumento delle precipitazioni invernali associato a un contemporaneo netto calo delle piogge estive in Europa centrale, ancora più marcato verso sud. Risultati analoghi si trovano anche in Smiatek et al. (2009) o Kotlarski et al. (2015).

 

Gli scenari futuri indicano per sommi capi ciò che già si conosce dalle osservazioni, seppure con qualche differenza. Nell'analizzare le tendenze di lungo periodo delle precipitazioni cadute sull'arco alpino negli ultimi 200 anni, Haslinger et al. (2012) o anche Brunetti et al. (2006) hanno riscontrato ad esempio un aumento delle precipitazioni invernali a nord delle Alpi, senza osservare, a sud dell'arco alpino, variazioni degne di nota. Questo incremento è spiegabile in primis con la tendenza all'aumento delle perturbazioni da ovest. In estate si osserva su tutto l'arco alpino una tendenza alle precipitazioni lievemente in calo, anche se in maniera non significativa. I dati raccolti con le osservazioni mostrano invece, soprattutto per le zone a sud delle Alpi, in autunno, una chiara e significativa tendenza di riduzione delle quantità delle precipitazioni, dovuta alla maggiore frequenza di formazione degli stati di alta pressione, non altrettanto visibili nelle simulazioni. Nell'analizzare i dati delle stazioni climatiche presenti nella regione è stato rilevato per Kufstein, negli anni 1961-2010, una tendenza significativa all'aumento delle precipitazioni annue, contro una tendenza alla riduzione osservata invece nelle zone sudorientali dell'area di indagine. Per le altre stazioni esaminate, la notevole variabilità annua non permette di evidenziare tendenze in termini di cumulate annue delle precipitazioni.

 

Le variazioni nella quantità delle precipitazioni, unite agli spostamenti delle stagioni, modificano necessariamente il bilancio idrico della regione. Le variazioni stagionali previste non si ripercuotono probabilmente sul deflusso annuo complessivo nei corsi d'acqua. In estate, tuttavia, è prevedibile un calo dei deflussi nelle zone non interessate dai ghiacciai, mentre in inverno, a causa delle crescenti precipitazioni e della maggiore quota di pioggia dovuta all'innalzamento delle temperature, è da attendersi un deflusso più corposo (Blaschke et al. 2011).

Queste affermazioni sui futuri sviluppi delle precipitazioni sono, come si diceva, molto più incerte di quelle formulate sull'andamento delle temperature. Si consideri, inoltre, che le variazioni attese in base al modello delle precipitazioni saranno nettamente più modeste rispetto alla variabilità annua (cfr. Schöner et al. 2011).


In ragione dei diversi indici climatici considerati negli studi di climatologia, un confronto diretto delle modifiche qui presentate con quelle risultanti da altri lavori non è impresa facile, ma si tenterà egualmente.

Smiatek et al. (2009) hanno esaminato, anche per l'arco alpino centrale, la variazione del 90° percentile delle precipitazioni giornaliere entro fine secolo. I risultati del modello mostrano un aumento in inverno (15-20%) e una diminuzione (-10%) in estate, evidenziando complessivamente una lieve crescita. In uno studio su scala europea, Nikulin et al. (2011) hanno ipotizzato un aumento delle cumulate giornaliere estreme fino al 2100 soprattutto, anche qui, in inverno, ma con un lieve aumento pure in estate. Questo lavoro ha però ben evidenziato come singoli modelli possano portare a risultati anche molto eterogenei. Gli schemi areali delle variazioni mostrano ad esempio caratteristiche diverse nei vari modelli. In un altro studio di Dankers e Hiederer (2008) emerge un aumento della cumulata delle precipitazioni cadute in cinque giorni per l'inverno, con un contemporaneo calo in estate.

 

Come già visto per la rilevazione dell'intensità delle precipitazioni, anche nell'analisi degli eventi pluviometrici maggiori le simulazioni sono affette da un alto grado di incertezza. In uno studio di Beniston et al. (2007) emerge chiaramente la discrepanza fra le singole simulazioni; le variazioni delle precipitazioni massime giornaliere in estate coprono un arco che va da -26% a +22% per l'ultimo trentennio del secolo. Dal punto di vista meteorologico è certamente comprensibile che a causa dell'aumento del tenore di umidità nell'atmosfera, riconducibile all'aumento delle temperature, sia da attendersi una maggiore tendenza di formazione di forti eventi convettivi. Alcuni studi basati su dati di osservazione provano l'esistenza di questa correlazione (Lenderink e Meijgaard 2010, Mohr e Kunz 2013). Tuttavia è da ipotizzare anche che, per effetto del maggiore aumento delle temperature negli strati superiori della troposfera rispetto a quelli vicini al suolo, la stratificazione atmosferica diventi più stabile (APCC 2013). Questo contrasterebbe l'effetto dell'accresciuta umidità. Altre indagini suggeriscono invece che la correlazione temperatura-forti precipitazioni abbia validità solo per certe regioni (Shaw et al. 2011) e che le caratteristiche degli estremi di precipitazione giornaliera dipendano invece da un gran numero di altri fattori (orografia, avvezione di umidità, dimensioni e movimento del sistema, ecc.) (cfr. Haerter e Berg 2009) non necessariamente legati alla temperatura.

Tutti questi fatti rendono incredibilmente difficile una stima futura degli estremi di precipitazione, rendendo dunque incerta ogni previsione sull'argomento.

 

 

 

 

 

 

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